SOMMARIO

SOMMARIO

SANT’ALFONSO M. DE’ LIGUORI
 Avvocato e Santo 

Teologo, pittore, scrittore, musicista, architetto, autore di una Grammatica di lingua italiana.
Si battè contro ogni terrorismo spirituale.

P. Antonio De Luca, Provinciale Redentorista

     Un uomo dalle mille sfaccettature

 

E’ stato detto che se qualcuno avesse in animo di scrivere la Storia del sentimento religioso d’Europa e volesse prescindere dalla figura e dall’opera di Alfonso M. de’ Liguori, commetterebbe un grande errore.

Sant’Alfonso è stato definito da un grande storico della sensibilità religiosa del nostro Mezzogiorno: “Il più napoletano dei santi e il più santo dei napoletani”.

Durante un Convegno, dal titolo «S. Alfonso e le ragioni degli ultimi. Morale e Diritto del ‘700», uno dei relatori, il prof. Francesco Gentile del Dipartimento di Storia e Filosofia del

 

 

Diritto all’Università di Padova, impressionato dopo aver letto una grande biografia di sant’Alfonso, si domandava: come definire quest’uomo? Un antimoderno oppure un postmoderno? No, sant’Alfonso è un ultramoderno. E’ l’uomo originale che desidera essere soprattutto se stesso.

Don Giuseppe De Luca, uno studioso della sensibilità religiosa del Meridione, ma che fa testo per gli europei, si domandava: ma Alfonso de’ Liguori è importante solamente nell’orizzonte ecclesiastico perché ha scritto 111 opere, perché è il Santo che ha scritto Le visite al SS. Sacramento o le Massime eterne ?

Alfonso M. de’ Liguori è una figura poliedrica. Basta. E’ teologo, pittore, scrittore, musicista, architetto, autore di un Grammatica di lingua italiana. E’ un uomo dalle mille sfaccettature. Frequenta il Circolo culturale più importante della Napoli del ‘700, con Giannone e Gian Battista Vico. Prende contatto con il mondo dei poveri e studia i motivi della povertà, arrivando alla conclusione che essa non ha alcuna ragione di esistere. Ecco perché si orienta dignitosamente verso il mondo degli abbandonati.

La sua esistenza ricopre un arco di tempo vastissimo: 90 anni e dieci mesi. La  formazione giuridica ricevuta fu per lui provvidenziale perché gli servì per tutta l’attività scientifica di moralista sviluppata dopo.

Vorrei porre tre quesiti, ai quali tentare di dare una risposta.

Da dove partì l’esperienza culturale di sant’Alfonso? Dove approdò con la sua esperienza e perché arrivò a quella meta?

Appena dodicenne, forse condizionato dalle pressioni austere paterne, appartenente a famiglia molto nobile, si scrisse all’Università di Napoli, soste­nendo gli esami di ammissione con Gian Battista Vico. A soli sedici anni era già laureato in Utroque, era già avvocato. Seguì gli anni di preparazione e di perfezionamento e a diciannove anni iniziò la sua attività in Tribunale.

Gli esiti dei primi contenziosi erano lu­singhieri. Se consultiamo il catalogo delle sentenze dal 1715 al 1723 risulta tutte le sentenze erano favorevole ad Alfonso de’ Liguori. Divenne addirittura uno dei più ricercati avvocati di Napoli.                                                                                                                                         

Nel 1723 venne chiamato da Filippo Orsini, duca di Gravina, il cui palazzo nel centro di Napoli oggi è sede della Facoltà di Architettura. Doveva patrocinare una causa di importanza europea, contro il granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici riguardo il possesso di un feudo: il feudo di Amatrice in Abruzzo.

La questione, così come è stato possi­bile studiarla, vide Alfonso de’ Liguori sconfitto con la sua tesi, che cioè la qualità nuova di un feudo non lo rende nuovo. Una vicenda ingarbugliata sul diritto feudale. La tesi di laurea di san’Alfonso verteva proprio sul Diritto feudale.

         L’insuccesso, dicono i biografi buoni, fu dovuto ad una svista, ad una clausola; probabilmente si trattò anche di alcune pressioni politiche, non escluso un malcostume giudiziario.

 Di fatto egli si alzò e urlò, secondo quando trascrive il suo primo biografo, una frase memorabile: “ Mondo, ti ho conosciuto…Addio  Tribunali, non mi vedrete più!”

Infatti le vicende presero una piega as­sai diversa. Quella sconfitta rappre­ sentò un atto di coerenza, non un ritiro dalla lotta ma l’inizio di un impegno sul fronte della conoscenza e della so­luzione delle cause morali e sociali.

I privilegi, l’arroganza, la corruzione della giurisdizione appartengono alla giustizia umana, ma sono in contrasto con i principi cristiani.

Allora cominciò tutto un altro orienta­mento di vita. Egli non dimenticò mai di essere un avvocato: da piccolo aveva scelto di esserlo.

 

Il difensore dei deboli

 

L’avvocato è un difensore e si pone tra l’imputato e la legge. Non scelse di es­sere un magistrato, che sta dalla parte della legge, ma il difensore.

Senza questa formazione non avrebbe scritto la monumentale opera della Teologia morale, che ha formato una schiera di vescovi, di sacerdoti, di ope­ratori pastorali.

Ma quello che ronzava nella testa di questo giovane avvocato lo troviamo nel codice, nei comandamenti che lui si diede. Tra l’altro scrisse  per se stesso: «non bisogna ma difendere una causa  con mezzi illeciti e mai difendere una causa giusta con mezzi ingiusti».

Ed ecco alcune conseguenze di queste impostazioni giuridiche di san’Alfonso:

1- La legge non deve mai essere consi­derata nella sua materialità, ma va sempre interpretata. L’ignoranza scusa e la legge dubbia non obbliga.

2- Sulla legge vi è un primato, quello della coscienza. Dio prima ha creato l’uomo libero e poi sono venute le leggi per educarlo alla libertà. La Gaudium et spes dirà che l’immagine di Dio più evidente nell’uomo è la libertà.

Se quindi c’è il primato della coscienza e della libertà, nessuno di noi può essere costretto ad agire contro la propria coscienza.

3- L’equità. Inutile fare delle teoria in­torno e dei casi giuridici; bisogna risolvere questo caso, qui ed ora. L’equità è possibile solo con la riflessione su ciò che è comune a tutti gli altri casi.

         Sant’ Alfonso scriveva in un periodo in cui c’era il terrorismo spirituale. La legge incideva anche nell’ambito della coscienza: tutto  è proibito, tranne ciò che è permesso. Egli ribatte: tutto è permesso, tranne ciò che è proibito.

         Nel suo libro “Degli obblighi de’ giu­dici, avvocati,accusatori e rei”, si domanda: è lecito ad un reo tentare la via della libertà? Risponde che l’imputato, anche se colpevole, ha di­ritto di sot­trarsi alla pena (addirittura con l’evasione) e quindi all’avvocato è con­sentito anche perseguire l’assoluzione del colpevole.

Al suo tempo era opinione corrente che la santità era riservata al clero, la cultura ai frati,mentre per i laici bastava un sufficiente impegno religioso. Sant’Alfonso scrisse il volune “Pratica per amar Gesù Cristo”, nel quale sostiene che tutti, mercanti,cavalieri,giudici… possono farsi santi.

Istituì a tale scopo a Napoli le Cappelle serotine, per gruppi di preghiera formati da laici. Ed ebbe la gioia di sentir dire, quando si trovava a S. Agata dei Goti come vescovo, che a Napoli per merito delle Cappelle serotine anche i cocchieri diventavano santi.

Per la formazione delle coscienze e l’istruzione dei laici fondò la Congre­gazione del Santissimo Redentore e si affidò con fede e devozione alla materna protezione della Vergine, che sempre invocava: Maria nostra avvocata!.


23 aprile 2001- Convegno su S. Alfonso - Relatori: P. De Luca, avv. A. Martucci, avv. E. Sticco. Presenta l’ing. L. Russo

 

Le Regole d’oro per l’avvocato
(S. Alfonso)

 

1. Mai difendere una causa ingiusta: ci si

perde coscienza e reputazione.

2. Per una causa, anche giusta, rifiutare

qualsiasi manovra illegittima o immorale.

3. Non caricare il cliente di spese superflue,

altrimenti l'avvocato sarà tenuto a

restituirle.

4. Trattare gli interessi dei clienti con la

stessa cura che si ha con le proprie

cause.

5. Studiare i processi in modo tale da

ricavarne argomentazioni convincenti.

6. Il cliente è danneggiato dai ritardi e dalle

negligenze dell'avvocato che quindi, per

dovere di giustizia, è tenuto a risarcire.

7. L'avvocato deve sempre implorare l'aiuto

di Dio, cioè del pri­mo Difensore della

giustizia.

8. Commette grave errore chi si carica di

cause più di quanto i suoi talenti, le forze

o il tempo, gli per­mettano di difendere

efficacemente.

9. Giustizia ed onestà sono le due

compagne inseparabili dell'avvocato: su

di esse deve vegliare come sulla pupilla

dei propri occhi.

10. Un avvocato che perde una causa per la

sua negligenza ha l'obbligo di riparare

tutti i danni subiti dal suo cliente.

11. Nel difendere una causa, nulla dire che

non sia vero, nulla tenere nascosto,

rispettare l'avversario, contare solo sulla

ragione.

12. In fin dei conti, le virtù che fanno

l'avvocato sono la scienza, l'applicazione,

la verità, la fedeltà e la giustizia.

 

Tratte dall’Opuscolo “S. Alfonso…”,pubblicato dal MEIC in giugno 2001